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Shock energetico, concorrenza cinese e rigidità delle regole fiscali hanno fatto emergere le fragilità del modello economico tedesco. Da Micromega.net: https://www.micromega.net/germania-alle-urne-la-locomotiva-deuropa-e-al-capolinea. –

Poco dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbor, che segnò l’ingresso degli Stati Uniti nella Seconda Guerra Mondiale, John Kenneth Galbraith venne reclutato dal neonato Office of Price Administration americano. Galbraith era autore di un brillante e dettagliato piano per l’economia di guerra. Ma già nella primavera del 1942, ha ricordato l’economista nelle sue memorie, il “modello straordinariamente logico” da lui elaborato si stava rivelando “un disastro”: “Il fatto che avesse conquistato il favore dei più sofisticati economisti dell’epoca non poteva mitigare il disastro; poteva solo procurarmi un’eccellente compagnia nella débâcle”.

Donald Trump, tornato alla Casa Bianca, sembra voler inaugurare una nuova epoca di guerre commerciali. La visione trumpiana delle relazioni internazionali è quella di un gioco a somma zero: il vantaggio di un agente non può che essere conquistato a discapito di un altro.

Dall’altra parte dell’Atlantico, in Germania, sembra farsi largo la consapevolezza del disastro portato dalle scelte di politica economica compiute negli ultimi anni. Un disastro che pone l’ex “locomotiva d’Europa” in una posizione di particolare fragilità in tempi turbolenti come quelli che stiamo attraversando.

Sul banco degli imputati è finito anche il cosiddetto Schuldenbremse (“freno al debito”), inserito nella Costituzione tedesca nel 2009 con l’appoggio di molti (non tutti) “dei più sofisticati economisti” dell’epoca. La regola prevede un tetto del deficit strutturale (ovvero al netto della componente legata al ciclo economico) allo 0.35% del pil. In pratica, si tratta un dispositivo che elimina la possibilità di politiche fiscali discrezionali. Negli anni in cui la Germania sembrava proiettare una immagine di imperturbabile prosperità, la sua virtù fiscale veniva decantata come il segreto finalmente disvelato della ricchezza di una nazione. Oggi le cose non vanno più così bene.

La contrazione che ha fatto registrare l’economia tedesca nell’ultimo trimestre del 2024 (-0,2% sul trimestre precedente) ha fatto sì che la Germania tornasse al di sotto del livello raggiunto allo scoppio della pandemia da Covid 19. Nello stesso arco di tempo (ultimo trimestre del 2019 – ultimo trimestre del 2024) gli Stati Uniti sono cresciuti del 12%.

L’industria tedesca ha subìto lo shock energetico seguito all’invasione russa dell’Ucraina. Industrie energivore come quella chimica, quella metallurgica o quella della lavorazione della carta (che consumano l’80% dell’energia industriale e pesano per circa il 16% della produzione industriale complessiva) sono state colpite in modo particolarmente duro.

In Cina, lo scoppio di una bolla immobiliare ha alimentato spinte deflazioniste e causato una decelerazione economica. Ma ciò non ha impedito alle aziende cinesi di affacciarsi prepotentemente e con successo in settori sulla frontiera tecnologica che solo fino a pochi anni fa erano a quasi esclusivo appannaggio di quelle occidentali. Prima la Germania esportava in Cina autovetture, prodotti chimici e macchinari industriali. Importava dal gigante asiatico prodotti di consumo e beni intermedi. Ora il Dragone compete con la Germania negli stessi mercati. Un esempio per tutti: nel 2020, l’anno dello scoppio della pandemia, la Cina era un importatore netto di vetture. Nel 2024 ha esportato 5 milioni di veicoli in più di quanti ne abbia importati. Il surplus commerciale tedesco nel 2024 è stato di solo 1.2 milioni di vetture: circa la metà di quello fatto registrare fino alla metà degli anni Dieci.

La Germania ha un debito pubblico poco sopra il 60% (20 punti percentuali sotto la media europea) e spende circa l’1% del pil in interessi sul debito. Avrebbe almeno ampio spazio fiscale per gestire le sfide che si trova di fronte, dalla transizione ecologica, agli investimenti infrastrutturali di cui il paese – e la sua industria – hanno urgente bisogno, all’incremento delle spese di difesa imposto dalla nuova situazione geopolitica internazionale. Eppure, il governo guidato dal socialdemocratico Olaf Scholz si è trovato costretto a spericolate operazioni di ingegneria contabile per cercare di sottrarsi al cappio del “freno al debito”. Ha prima dirottato 60 miliardi di euro di fondi non spesi legati all’emergenza pandemica in un Climate and Transformation Fund. Successivamente ha creato un fondo speciale “fuori bilancio” da 100 miliardi di euro per le spese di difesa. La prima iniziativa è stata invalidata da una sentenza del 2023 della Corte costituzionale tedesca. Mentre alla fine del 2024 il governo guidato dallo stesso Scholz è collassato proprio sul nodo della revisione del “freno al debito”, difeso a oltranza dal ministro delle Finanze, e leader dei liberali, Christian Lindner.

Questi vincoli alla politica economica nazionale non sarebbero un problema in presenza di un vero bilancio federale europeo. Investimenti “per la competitività e la sicurezza” potrebbero essere finanziati da debito comune e beneficiare tutti gli Stati membri, come invocato dal Rapporto Draghi pubblicato nel settembre del 2024. Purtroppo, di questo salto di qualità in Europa non si scorgono segnali significativi. Per ora, si assiste solo al ritorno del Patto di stabilità e crescita, dopo anni di disapplicazione a causa della pandemia. E anche in questo patto Lindner, da rappresentante del governo tedesco nei negoziati per la sua riforma, è riuscito a imporre un “freno al debito”, che è solo un po’ meno stringente di quello domestico (il tetto al deficit strutturale è fissato all’1.5% del più).

Nemmeno la politica monetaria è di grande aiuto in questo momento. È vero che la Banca centrale europea ha abbassato il proprio tasso di riferimento (il tasso sui depositi) di un punto percentuale dal giugno del 2024. Ma, come ha detto Christine Lagarde nella sua conferenza stampa dello scorso 30 gennaio, “la politica monetaria rimane restrittiva e i passati rialzi dei tassi di interesse si stanno ancora trasmettendo ai crediti in essere”. Inoltre, se da una parte i tassi di riferimento controllati direttamente dalla Bce scendono, i tassi a lungo termine subiscono una spinta in direzione opposta. La Bce, infatti, sta continuando a ridurre il proprio bilancio non reinvestendo i titoli a scadenza acquistati con il Quantitative Easing dell’epoca Draghi (Asset Purchase Programme, APP) e quello varato durante la pandemia (Pandemic Emergency Purchase Programme, PEPP).

Le difficoltà della Germania hanno una rilevanza che va ben oltre i confini tedeschi, non solo perché si tratta della maggiore economia d’Europa, ma perché queste difficoltà derivano – almeno in parte – da una cultura economica datata che ha lasciato la sua impronta sull’intera governance economica europea.

Si susseguono tuttavia i segnali di un ripensamento. Nel passato recente sono intervenuti con considerazioni critiche nei confronti del “freno al debito” soggetti diversissimi fra loro, come l’ex cancelliera Angela Merkel (sotto il cui governo la regola è stata introdotta), il Consiglio tedesco degli esperti economici (che svolge attività di consulenza per il governo in materia economica), IG Metall (il maggior sindacato tedesco ed europeo) e il governatore della Bundesbank (la Banca centrale tedesca), Joachim Nagel.

Secondo un sondaggio condotto nel gennaio del 2025 dal Consiglio tedesco di relazioni internazionali, il 55% dei cittadini tedeschi è favorevole all’abolizione del “freno al debito” o alla sua riforma per consentire maggiori investimenti pubblici. Nel novembre del 2024 solo una minoranza dei tedeschi, il 44%, sposava queste posizioni. Nel luglio del 2024 la quota era ancora minore: 32%.

Il rapido mutamento del sentimento popolare sul tema non si riflette però nei sondaggi per le elezioni politiche in programma per il prossimo 23 febbraio. Al momento sono in testa i cristianodemocratici di Friedrich Merz, ed è data in grande ascesa l’estrema destra di Alternative für Deutschland. Entrambi i partiti si dichiarano sostenitori della regola sul debito nella forma attuale. Ultimamente, Merz ha lasciato intendere di essere flessibile sulla questione, forse con un occhio a eventuali negoziati per formare una coalizione con uno o più partiti di centrosinistra dopo il voto. Ma la sua apertura all’estrema destra in occasione un voto sull’immigrazione al Bundestag complica enormemente il dialogo con il campo progressista. In ogni caso, per riformare il “freno al debito” ci vorrebbe una maggioranza di due terzi nei due rami del parlamento tedesco.

Il contributo di Galbraith allo sforzo bellico americano fu di cruciale importanza. Preso atto che il piano iniziale non funzionava, l’Office of Price Administration predispose presto un piano alternativo. Fu un successo, dato che permise di evitare spirali inflazionistiche in un periodo di mobilitazione totale delle risorse produttive a scopi militari. “L’economia non è una verità durevole”, ha scritto sempre Galbraith tornando col ricordo a quegli anni. “Richiede una continua revisione e adattamento delle proprie opinioni. Praticamente tutti gli errori sono dovuti all’incapacità di cambiare”.